2| BLACK STYLE dal Black Dandy alla cultura Hip Hop
Questa newsletter è dedicata alla storia del costume afroamericano partendo dal Black Dandyism, tema del MET Gala 2025, fino ad arrivare alla cultura Hip Hop contemporanea.
segue all’episodio 1 questa seconda newsletter accompagna per immagini la seconda parte della prima puntata del mio podcast “Black Style”
#2 Lo stile afroamericano nel periodo dell’Harlem Renaissance e del Movimento per i Diritti Civili
All’inizio del ‘900 Harlem diventa il cuore della cultura afroamericana, attirando migliaia di neri che con la Grande Migrazione hanno raggiunto il Nord degli Stati Uniti per sfuggire alle leggi segregazioniste e cercare nuove opportunità di vita e lavoro. Conosciuta come “The Negro Capital of the World” con la sua contagiosa e coraggiosa ricerca di riscatto, apre le porte ad un’epoca storica conosciuta come Harlem Renaissance.
L’Harlem Renaissance è il movimento culturale, artistico e intellettuale afroamericano che dando voce a scrittori, poeti, musicisti, attivisti e intellettuali ha sfidato le discriminazioni razziali promuovendo l’orgoglio nero.


Ad Harlem, la diversità dei suoi abitanti, provenienti da vari stati del Sud e dall’Africa, crea una comunità dinamica e progressista. Nonostante la povertà e le discriminazioni, Harlem diventa un luogo di speranza e di incoraggiamento all’espressione e alla creatività, capace di influenzare l’intera cultura americana. Il jazz è l’espressione artistica per eccellenza così come lo zoot suit, utilizzato dalla maggior parte dei musicisti: è un abito maschile iconico, caratterizzato da pantaloni a vita alta, larghi e stretti alla caviglia, una giacca lunga con spalle imbottite e ampi revers e un cappello fedora a tesa larga. Lo zoot suit diventa una affermazione di identità e orgoglio, un simbolo culturale associato alla musica jazz e swing.



Verso la fine degli anni ’50 e l’inizio dei ’60 prende forma il Movimento per i Diritti Civili, un movimento di lotta sociale e politica, guidato dal pastore Martin Luther King Jr., determinato a porre fine alla segregazione e alla discriminazione razziale, ancora in atto, nella società americana, attraverso le leggi Jim Crow.
Il modo di vestirsi, in questo contesto, ha avuto un ruolo significativo nella manifestazione dell’identità culturale e dell’orgoglio nero.
Le marce, i sit-in e le proteste sono caratterizzate sempre dall’utilizzo sapiente di un abbigliamento formale e curato, con l’obiettivo di sfidare l’idea che gli uomini neri siano “pericolosi” o “selvaggi”.





Un evento storico che scatta una delle fotografie migliori su questo tema è quello dei Little Rock Nine, i primi nove studenti neri ammessi, nel 1957, alla Central High School, di Little Rock, Arkansas, fino ad allora un istituto esclusivamente per studenti bianchi che da quell’anno accetta di aderire alla politica di integrazione. I video e le immagini del loro primo giorno a scuola, accolti da una folla di bianchi inferociti, li vede sfilare tra le urla, gli insulti e le botte, con i loro abiti migliori e uno standing orgoglioso e pieno di dignità che, tuttavia, nasconde delusione, rabbia e molta paura.



La costumista Ruth E. Carter, nel ricreare lo stile del Movimento per il film “Selma”, (film basato sulla famosa marcia Selma-Montgomery del 1965 guidata da Martin Luther King e John Lewis tra altri), ha sottolineato come la scelta dell’abbigliamento sia stato deliberato e mirato a influenzare la percezione pubblica del movimento.






A questo stile, negli stessi anni, si contrappone quello più radicale della Nation of Islam, che insieme a giacca e cravatta, utilizza spesso il Fez, un copricapo di origine orientale, e del Black Panthers Party che enfatizza il total look nero con l’utilizzo di pelle nelle giacche e nei cappelli.
Il Black Power ha spostato l’enfasi sull’orgoglio africano, portando ad un rifiuto degli standard estetici eurocentrici; la moda in questo periodo inizia ad orientarsi verso l’afrocentrismo, con capelli naturali, dashiki e abiti ispirati alla cultura africana.






In tutto questo succedersi di epoche, i Ball resistono. È di questi anni la serie tv, “Pose”, che ha raccontato l’espressione di questo fenomeno durante la New York degli anni ‘80. La serie è tratta dal docu-film “Paris is Burning” incentrato sulla ball culture, dove la regista Jennie Livingstone per sei anni ha frequentato e intervistato figure di spicco della scena newyorkese dei Ballroom.



Tra la fine degli anni ‘80 e 2000, poi, il Black Dandysm è riemerso come reazione all’omologazione della moda e alla cultura streetwear dominante. Dapper Dan, Andrè Leon Talley o il Dandy Lion Project propongono l’eleganza sartoriale utilizzandola come forma di resistenza estetica.
prosegui con la puntata 3:
3| BLACK STYLE dal Black Dandy alla Cultura Hip Hop
segue all’episodio 2; questa terza newsletter accompagna per immagini la terza parte della prima puntata del mio podcast “Black Style”